Un mercoledì qualunque

Stamattina ero in ospedale per un controllo di routine. Nella sala d'attesa c'era una coppia, marito e moglie, lo sguardo di chi attende una sentenza scontornato dalla mascherina.

Lei sedeva per finta, puntellata su una porzione infinitesimale di sedia; lui inseguiva qualche incubo privato. Trascorrono così un quarto d'ora. Poi, finalmente, chiamano la donna.

Chiede se suo marito può entrare con lei. Il no viene pronunciato dal fondo del corridoio, se l'ha sentito lei l'ha sentito pure lui, ma la donna ci tiene lo stesso a riportarglielo, come se avesse bisogno d'inscenare una falsa contrattazione per accettare la delusione del rifiuto.

La donna sparisce per un po' dietro una porta, poi viene accompagnata in un'altra stanza.
Non è un buon segno. Quando fa ritorno è passata mezz'ora, e a quel punto siedo a un solo posto di distanza dall'uomo. E inevitabilmente, sento.

Biopsia, lunedì, dettagli vari.
Magari non è niente, aggiunge lei dopo un po'. Ma ha lo stesso tono di prima: la falsa contrattazione.

Quando ripasso di lì, a visita ultimata, i due non ci sono più. Non so nemmeno perché ne stia scrivendo. Forse perché questa scena era così chiaramente intellegibile da parere quasi predestinata. Una scena da film.

Ma non lo era. Era solo l'ordinaria amministrazione della vita e di un ospedale qualunque, in un mercoledì qualunque.

Valentina Adriano