Attivismo di plastica

Il 5 ottobre 2022, su quello che taluni, romanticamente, definirebbero “diario”, scrivevo queste parole:

Ed ecco il nuovo tema del momento, la nuova causa comune, il nuovo attivismo di plastica.
Ora sui media sarà tutto un proliferare di donne famose e donne qualunque intente a tagliarsi i capelli, l’ennesima solidarietà artificiale, rifugio del conformismo intellettuale. È così strano; viviamo il culto dell’individualismo e il consumismo della personalità, eppure in quanti sono sprovvisti di un’idea propria!

Troppo acida? Impietosa, stizzosa, tranchant?
Può darsi. Erano le otto di sera, ero stanca, venivo da una giornata pesante.
Ma questa mattina, nel trovarmi davanti alle immagini dei Girasoli di Van Gogh imbrattati a Londra da due attiviste, ho recuperato quella stessa sensazione e ho pensato: diamine, sul serio? È questo che collettivamente stiamo alimentando?

Stavolta la causa pare essere l’ecologia. Mentre scrivo queste righe si sa ancora poco del “folle gesto”, stando ai giornali. Ma a dirla tutta, è davvero così rilevante la causa di fondo? Non si somigliano un po’ tutti questi atti di protesta? Se il dissenso ha bisogno di comunicati stampa postumi per essere decodificato, può davvero dirsi efficace? Le rivoluzioni non si sono forse sempre fatte capire da sole, ognuna trovando un proprio linguaggio? Perché stavolta il linguaggio è lo stesso per tutte? Perché, dei nobili ideali, mi sembra sia rimasto solo il packaging?

Una alla volta, ma immancabilmente, come le tempeste muliebri del nord America, emergono dall’orizzonte mediatico le nuove “cause”. Nemmeno il tempo di inquadrarle, di schivare i facili slogan che dissuadono dal guardare sotto la superficie, che è già tempo di abbracciarle e prendere posizione - una tra le uniche due possibili, sia chiaro.
La call to action è inesorabile, devi scegliere: bianco o nero. Destra o sinistra. Sì o no. L’adesione polarizzata passa attraverso il rituale di un hashtag o di un gesto, è una partecipazione che non impegna, una solidarietà smart, la coscienza che si lava con un click.

Ma se ogni causa ti smuove, se ogni idea è giusta, se appoggi acriticamente ogni slogan, allora - e questo è terribile - nessuna causa ti tocca davvero, nessuna idea è davvero giusta, nessun sostegno è realmente sentito. Stai abbracciando un vuoto involucro, un’idea omeopatica.
Che partecipazione è senza impegno? Senza il tempo di approfondire, senza la gestazione di un punto di vista personale; che partecipazione è se le idee ci arrivano predigerite dai ruminanti mediatici? E che idee sono le idee che non abradono nessuno? I princìpi non sono affatto rotondamente inclusivi: hanno il coraggio dell’imparzialità.

Quei gesti, certamente densi di significato per chi li ha concepiti o abbracciati nel tormento, si spogliano di ogni valore quando proferiti nella comoda solidarietà da tastiera: la vera solidarietà non è mai comoda, perdìo. È soffrire con l’altro, è crucciarsi nel tinello, è faticare a prender sonno. Gli hashtag che rimbalzano sui social, l’adesione coreografata alla campagna di turno, pura esternalità, non sono altro che un attivismo di plastica. Ancora peggio: sono capitalizzazione dei princìpi morali. Glamourizzando la causa del momento, ne invertono i termini: anziché contribuire alla causa, è ora la causa a contribuire all’economia di like di chi vi aderisce.

Così i princìpi, un tempo maneggiati coi guanti per la saggia paura di intaccarli con la fallibilità umana, si indossano oggi come capi di abbigliamento, in base alla moda del momento. Nel fast fashion delle idee, più una terra è lontana, più una filosofia è alta, maggiore è il suo appeal esotico, la sua desiderabilità come oggetto-idea da collezione. Si accumulano adesioni alle campagne come si accumulano accessori nell’armadio, borsette che varranno bene per una stagione, prima del rimpiazzo successivo.

In una lettera a suo fratello, Van Gogh scriveva: “Non vivo per me, ma per la generazione che verrà”.
Che epoca triste quella in cui l’arte, concepita come dono totale alle future generazioni, cade sotto i colpi dell’attivismo di plastica.

Valentina AdrianoCommenta